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OBBLIGO DI MANTENIMENTO DEI FIGLI MAGGIORENNI

Da ormai lungo tempo si attende l’intervento del Legislatore per la riforma del Diritto di Famiglia, nell’attesa – certamente dettata dalle molteplici difficoltà inerenti all’intervenire in un ambito dove gli interessi coinvolti e le resistenze, di varia natura e di ambienti diversi, sono molteplici – si è assistito ad importanti interventi interpretativi della Giurisprudenza, sovente attenta alle evoluzioni della Famiglia nel quadro socio—economico.

Una recente decisione della Suprema Corte di Cassazione ha, per diversi aspetti, rivoluzionato il Diritto di Famiglia, sia sotto il profilo strettamente giuridico, relativamente al lavoro degli avvocati e dei tecnici del diritto, sia sotto il profilo sostanziale, per quel che concerne gli oneri economici dei genitori – separati, divorziati o non più conviventi – che debbano contribuire a mantenere i figli maggiorenni.

La Suprema Corte infatti, ha saggiamente colto l’occasione per chiarire una serie di principi di diritto circa il mantenimento dei figli maggiorenni, richiamando le più significative pronunce e reinterpretando l’art. 337septies del codice civile.

Il richiamato arresto giurisprudenziale, annoverabile quale innovativo, supera antichi stereotipi, restituendo, ai figli maggiorenni, centralità e dignità di adulti responsabili, sulla scorta del principio di autoresponsabilità.

In primis, la Corte di legittimità ha rafforzato la non automaticità dell’obbligo di mantenimento per il figlio maggiorenne; in secondo luogo, la Corte ha ribadito che l’eventuale assegno dovrebbe essere destinato preferibilmente diretto al figlio. Il protrarre l’interazione tra i genitori ai fini del mantenimento di un figlio ormai maggiorenne, con assidua ripetitività non porta altro che all’accrescimento di tensioni e malessere oltre a sminuire l’autodeterminazione dello stesso figlio maggiorenne.

Con riguardo ai presupposti per l’obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne – che, si è detto, non è un automatismo – la Corte ha preso le distanze dalla prassi vigente, sostenendo che le ambizioni di un figlio possono essere ridimensionate in nome della dignità e dell’autonomia del ragazzo stesso, nonché in considerazione dell’obbligo morale di non chiedere ai propri genitori un sacrificio maggiore di quello che si è disposti a fare in prima persona. Con questa decisione si è affrontato l’alibi di molti maggiorenni: non avere trovato una occupazione adeguata alle ambizioni legittimamente coltivate, visti i propri titoli di studio.

Il concetto di “indipendenza economica” per la Corte coincide con quanto necessario per soddisfare le primarie esigenze di vita, e dunque con l’idoneità della retribuzione a consentire un’esistenza dignitosa. Tale conclusione è coerente con gli artt. 1, 4 e 30 della Carta Costituzionale.

Con riguardo al figlio maggiorenne dunque, escluso ogni automatismo, il Giudice “può”, ma non “deve” disporre l’obbligo di pagamento di un assegno periodico a carico del genitore che sia in condizione di sostenerlo. Si tratta di un giudizio connotato da ampia discrezionalità, rimesso al prudente apprezzamento del giudice, sulla base di una specifica valutazione caso per caso.

A tal proposito, una ulteriore rilevante novità riguarda gli aspetti processuali della questione: l’inversione dell’onere della prova. Il compito di dimostrare in giudizio l’esistenza delle condizioni che fondano il diritto al mantenimento del figlio maggiorenne è a carico dello stesso richiedente.

L’obbligo di mantenimento legale cessa con la maggiore età del figlio; in seguito ad essa, l’obbligo sussiste solo laddove stabilito dal Tribunale competente. Ai fini dell’accoglimento della domanda, pertanto, è onere del richiedente provare non solo la mancanza di indipendenza economica – che è la precondizione del diritto preteso – ma di avere curato, con impegno, la propria preparazione professionale o tecnica e di avere, con pari impegno, operato nella ricerca di un lavoro.

Non è più dunque il genitore obbligato al pagamento ad essere onerato della prova della raggiunta effettiva e stabile indipendenza economica del figlio, o della circostanza che questi abbia conseguito un lavoro adeguato alle aspirazioni. Infatti, raggiunta la maggiore età, si presume ora l’idoneità al reddito.

In particolare, l’onere della prova risulterà particolarmente lieve in prossimità della maggiore età appena compiuta, ed anche per gli immediati anni a seguire, quando il figlio abbia intrapreso, ad esempio, un serio e non pretestuoso studio universitario: già questa circostanza integra la prova presuntiva del compimento del giusto sforzo per avanzare verso l’ingresso nel mondo del lavoro.

Il fondamentale passaggio dell’inversione dell’onere della prova conduce ad rilevanti risvolti circa l’esito dei procedimenti giudiziari rispetto al passato: si pensi alla impossibilità per un genitore estraniato dalla vita del figlio di procurarsi anche le più semplici informazioni sulle sue attività – se lavora, se sostiene esami ecc.. Risulta agevole apprezzare le difficoltà in cui si incappava, sino ad oggi, nel documentare la cessazione dell’obbligo a carico del genitore, il quale non riusciva a procurarsi solide prove dell’avvenuta indipendenza del figlio o della negligenza di esso.

In mancanza della prova del proprio impegno, il figlio maggiorenne non solo non ha più diritto a percepire un contributo al proprio mantenimento, ma anzi, potrebbe essere ritenuto egli stesso inadempiente all’obbligo, che gli impone il codice civile, di contribuire al mantenimento della famiglia finché convive con essa (art. 315 bis c.c.).

È altresì importante, nella valutazione caso per caso, considerare l’esistenza di ausili e sovvenzioni Statali o di istituzioni formative, messe a disposizione in favore degli studenti meritevoli – come ad esempio borse di studio e corsi di formazione – che potrebbero sostenere il giovane adulto nell’avvio alla carriera per la quale si sta impegnando.

In dissenso verso precedenti decisioni assistenzialiste, la Corte ha dunque dimostrato grande modernità e adeguatezza ai tempi, invitando i giovani a ridurre eventualmente “le proprie ambizioni adolescenziali” pur di trovare il modo di auto-mantenersi. La Corte sottolinea inoltre che non è ammesso imporre un contributo eccessivamente gravoso a carico dei genitori, non rientrante nelle concrete possibilità economiche di essi.

In ultimo, secondo la Corte, analoga evoluzione di concetti ha interessato il diritto all’assegnazione della casa familiare: non può più rimanere in essere l’assegnazione in virtù di una convivenza solo formale con il figlio che risulti obiettivamente assente a lungo da casa, anche se periodicamente vi rientra.

Autore: Marco Dei