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LOCAZIONI COMMERCIALI : La sorte in tempo di Coronavirus

Le nuove misure, introdotte con il recente DPCM pubblicato in G.U. lo scorso 11 marzo, riguardano in particolare il settore dei pubblici esercizi; si prevede nello specifico la sospensione, su tutto il territorio nazionale, delle attività dei servizi di bar-ristorazione fino al 25 marzo 2020.

La portata di dette norme, per quanto necessarie a contenere l’emergenza coronavirus, incidono tragicamente sull’economia degli esercizi commerciali, comportando l’impossibilità per i ristoratori d’Italia di far fronte ai costi di esercizio.

In attesa del preannunziato Decreto “salva economia”, con cui saranno verosimilmente sospensi per famiglie e imprese i pagamenti relativi a mutui, tasse e bollette, non si può fare a meno di interrogarsi circa i rimedi che gli imprenditori commerciali, costretti a chiusura forzata, possono invocare in conseguenza dell’impossibilità di pagare i canoni dovuti in forza di un contratto di locazione commerciale.

La questione assume particolare importanza se sol si tiene conto del fatto che in questi casi, gli interessi dell’imprenditore commerciale “conduttore”, devono essere comparati con gli interessi economici di parte locatrice, che si troverebbe a rinunciare al canone mensile.

L’esigenza che si pone, allora, è quella di individuare una misura che consenta di mantenere l’equilibrio economico – giuridico tra le parti in gioco. In attesa di un intervento normativo in tal senso, occorre individuare quali siano i rimedi offerti dall’ordinamento giuridico in caso di impossibilità sopravvenuta della prestazione.

Giuridicamente la questione non è di facile risoluzione poiché, in linea generale, il conduttore non può sospendere il pagamento del canone ad eccezione del caso in cui l’immobile sia materialmente inutilizzabile. In questo caso, tuttavia, l’immobile materialmente rimane utilizzabile ed è nella pacifica disponibilità del conduttore, il quale, tuttavia, non ne può godere essendo venuto meno, temporaneamente, il presupposto sul quale aveva avuto origine il rapporto locatizio.

A tale proposito, occorre rilevare che l’impossibilità di svolgere l’attività non è imputabile a nessuna delle parti, ma è dovuta a cause di forza maggiore. E tuttavia in questo caso il conduttore non ha interesse ad esperire il rimedio caducatorio della risoluzione del contratto, per impossibilità sopravvenuta oppure per eccessiva onerosità della prestazione.

Ci si domanda pertanto se e in che termini sia giuridicamente ammissibile, per il conduttore, sospendere o ridurre il pagamento del canone a causa della sopravvenienza di un evento straordinario e imprevedibile. L’istituto che potrebbe venire in rilievo è quello della rinegoziazione, tipizzata dal Legislatore per talune specifiche ipotesi, ma non prevista quale rimedio generale. E se Dottrina e Giurisprudenza la ritengono un rimedio ammissibile qualora contrattualmente previsto, ci si chiede se tale rimedio potrebbe essere comunque applicabile anche nel caso, come quello trattato, in cui locatore e conduttore (che certo non potevano aspettarsi la diffusione della pandemia) nulla hanno previsto.

La questione è ampiamente dibattuta, anche se una visione costituzionalmente orientata del problema, consente di dare risposta positiva, alla luce del criterio della buona fede che, ai sensi degli artt. 1175 cod. civ. (che impone che debitore e creditore si devono comportare secondo correttezza) e 1375 cod. civ. (relativo all’esecuzione del contratto secondo buona fede) deve informare ogni rapporto contrattuale.

In definitiva, in attesa dell’imminente provvedimento governativo, che disciplini anche la questione relativa alle locazioni commerciali, è sempre bene affidarsi a professionisti competenti che possano mediare tra le parti e riequilibrare le posizioni.

Autore: Gaia Menconi